"La terra già è bassa, ma poi, a andà avanti così, tra la stagione che si ribalta, i selvatici che c'entrano in casa, le peggio malattie e i peggio insettacci... a me mi pare che s'abbassi ancora di più, la terra."
Citazione n°3
Nell'ultimo giorno d'Autunno
L'autunno si è fatto avanti, con la solite vesti rosse e brune, ed ha governato nell'imprevedibilità, tra piogge e giornate di calore.
Le castagne, abbondanti, non sono mancate, mentre la legna da ardere e la paleria si avvicinavano alla casa con fatica di schiena e braccia.
I soliti inconvenienti, che condiscono ogni giornata, mi hanno seguito instancabili: guai ad annoiarsi, guai ad abituarsi.
Il seme a terra ha iniziato a germinare, mentre gli ungulati hanno ripresto a banchettare e rivoltare di notte il lavoro fatto di giorno.
Tanti in cacciatori, che come pellegrini in cerca della lepre, della beccaccia o del cinghiale, hanno animato di parole ed orme il bosco sotto al podere.
Di funghi nemmeno un'ombra, una consuetudine che si ripete.
Le api si sono invernate, mentre il pozzo ha ripreso a lavorare a dovere.
Due mesi, con le giornate sempre più corte, la giubba fradicia, e la voglia di camino.
Caldarroste e minestre, fagioli e salsicce, pane abbrustolito ed olio nuovo.
E mentre il conto dell'avere una figlia all'asilo, si presentava a suon di lunghi periodi a casa, l'esserle babbo ha continuato ad essere il regalo più bello.
E' nell'ultimo giorno d'Autunno che torno a scrivere, mentre la stagione più bella e silente sta svanendo, la neve di dicembre ha anticipato a gran voce che il freddo non mancherà neppure quest'anno.
E tra un attimo, le giornate riprenderanno ad allungare, piano, mentre la difesa dal freddo diverrà il quotidiano impegno.
La chiusura del 2021
Quando si chiude un anno, sempre vien da fare i bilanci.
Ma non poco tempo fa ho affidato molte considerazioni e bilanci per il decennale di questo Blog, e non voglio annoiarvi ulteriormente.
La fatica, gli insuccessi, le difficoltà, gli sgomenti...miei, e del mio vivere, mai sono mancati nei miei scritti. Per me è fondamentale non lasciarvi credere che questa Vita di Agricoltore Anacronistico sia perfetta, sia meravigliosa, sia la cosa migliore nel mondo.
Io sono un uomo, e come tale commetto sbagli, mi arrabbio, talvolta sono confuso, stanco nelle ossa e nei pensieri: il 2021 mi ha portato tutto questo, come Agricoltore, come Figlio, Marito, Padre, Amico.
Ci sono state notizie che mi hanno fatto intristire, preoccupare, piegare.
Ma ho sempre trovato il modo di vedere la bellezza in ogni singolo giorno che mi è stato messo davanti, sempre, anche quando avevo la schiena flagellata di fatica, o quando una parte del cuore si è crepata per sempre.
Sempre, ogni singola mattina, aprendo le finestre della camera io ho trovato l'emozione di esserci, di essere in questa Vita che con tanta fatica e convinzione, assieme a mia moglie, io mi costruisco davanti.
Sempre, ogni singolo giorno, ho trovato il modo di emozionarmi di fronte ad un fiore, ad un sussurro del vento tra le fronde, ad un profumo, ad un gesto.
Sempre, ogni singolo giorno, io ho trovato il modo di avere forza, costanza, perseveranza, convinzione per vivere Bene.
E tutto questo me lo offrono la mia amata Famiglia, gli Amici, le mie Idee, la mia Passione, la Natura tutta, e...la voglia di saper ritrovare tutto questo, sempre.
E quindi,
Auguro a tutti voi un 2022 pieno di..Bellezza.
Auguro alla mia bimba di sapersi emozionare e godere del semplice, come lei sa fare, ogni giorno di più.
Auguro ai miei genitori di sentirsi in un abbraccio che mai avrà fine, con l'emozione del nuovo.
Auguro agli Amici, quelli veri, di avere fermezza ed intraprendenza, pensando oltre il lavoro e cercando nel quotidiano la...Sorpresa.
Auguro ad Enne e Zia un anno di sorrisi ed Amore, tanto.
Auguro a mia moglie ti avere il tempo per il tuffo, la camminata, il riposo, lo svago.
Auguro a me stesso di chiudere qualche progetto, per poterne aprire tanti altri.
Buon Anno a tutti.
A,A,
Agricoltura di Montagna, parte 1: partiamo di un bambino...
La prefazione è semplice, e si ripete nel tempo: non voglio insegnare a nessuno, rifuggo gli assoluti, e quanto vado a raccontare è frutto della mia esperienza personale, professionale e di anni di osservazione e studio.
Non sono uno specialista della materia "Agricoltura di Montagna", ma come sempre faccio riporto qui impressioni e vita vissuta, aperto al dialogo, e lontano dalle polemiche.
Partiamo da un bambino...
Negli anni 80 era ancora possibile fare le ferie.
Le aspettavamo, bimbo e genitori, come un Natale fuori stagione.
Iniziavamo ad assaporarle già alzando il telefono e chiamando Ludvina, quella zia non di sangue a cui era affidata la decade di riposo della mia famiglia.
La prenotazione nella sua pensione, in quel piccolo borgo della Val Pusteria, lasciava immaginare le tante cose che sarebbero accadute, amplificando così la voglia di partire per poter stare assieme e di "staccare" (termine che solo in età avanzata avrei compreso appieno).
E poi il viaggio, lungo, l'Autostrada del Brennero, le fantasie su boschi e passeggiate, cascate e stalle, laghi e pascoli che avremmo visto.
L'Opel Kadett dagli interni sky color baige, il largo giocare sui sedili posteriori, gli occhi lanciati oltre il finestrino, il panino con pomodoro e formaggino, le gallerie lunghe che tanto mi piacevano.
Arrivare di fronte alla struttura era un tuffo al cuore: non mi scorderò mai l'odore che c'era all'ingresso, dove ben esposta vi era "la stella" che ricordava che eravamo in una Pensione.
La gioia di ritrovare la vecchia padrona di casa, con la crocchia ed il grembiule, e con quelle maniche tirate su, proprio fosse stata di famiglia, proprio come se l'avessimo lasciata la settimana prima.
La voce stridula, l'accendo teutonico, e tuto quel legno alle pareti, al soffitto, sul pavimento.
Le vacanze in quella Pensione sono, e rimarranno, uno dei momenti più felici di tutta la mia vita: mamma che metteva gli occhiali da sole assumendo espressioni di soddisfazione e relax, babbo che scattava foto con la vecchia Minolta nera, e filmava in Super8.
Ed io che, seppur piccino, mi innamoravo sempre di più di quanto stessimo vivendo.
Quel ritrovarmi lì, era come ritrovare una parte allegra e divertita di me stesso, era quell'aria fresca che pizzicava quasi, era l'odore del fieno tagliato, l'odore della grande stalla di fronte alla pensione, era il suono dell'orchestrina che nel dopocena faceva le prove, era il suono dei campani delle mucche, o delle campane della chiesa a strapiombo sulla vallata.
Era ben oltre le aspettative, ben oltre i sogni fatti prima: era Vacanza, Famiglia, Montagna...tutto assieme.
Indelebile nel tempo, tatuato nell'anima di quel bimbo che ero, c'era il latte, buono, buonissimo, il burro, il pane con segale e sesamo, i krapfen, l'erba cipollina nel brodo, la marmellata di fragoline di bosco, lo speck, e i formaggi (su tutti ne ricordo uno grigio...unico nel suo essere buono).
E poi, a fungere da cornice, erano le cime delle montagne, quasi a bucare il cielo così "azzurrissimo"; quei boschi di conifere, scuri e freschi, arrampicati oltre la gravità, che parevano tenersi appena seppur svettanti in altezze vertiginose; i laghi, trai i più belli dei più belli, che sempre avevano un "fiumiciattolino" dov'era divertente tirare i sassi (mia grandissima passione).
Ed alla sera si dormiva bene, senza le zanzare, col vento che sibilava volentieri nella camera da letto.
Ma uno dei ricordi più divertenti è di quel trattore che ranghinava il fieno, seguito dal fedele cane fulvo, immagini in movimento impressionate per sempre in quei vecchi e gloriosi Super8, sbiaditi di colori, ma forti di emozioni.
Quel trattore divenne ben presto il "mio trattore da grande", un vecchio Fiat a ruote larghe che di tralice tirava i cordoni in quelle pendenze tanto ripide quanto sinuose.
La Montagna divenne ben presto anche quel "mio trattore da grande", in quel suo lavorare, tra cane e contadino, in un profumo di fieno che era inebriante.
Equilibrio ed armonia, quasi come una favola vissuta in prima persona, che andava oltre l'esperienza di qualche giorno, ma che s'insidiava nel più profondo dei sentimenti di un bimbo che non smetteva di pensare quanto quello fosse il posto più bello del mondo.
L'Alto Adige avrà sempre il mio rispetto, e continuerò a sognarmi bimbo in quelle corse nei prati, in quell'inciampare nei sentieri, in quella gara con babbo a tirare sassi.
Negli anni a venire arrivarono altre Montagne: dal Trentino alle Alpi Bellunesi, sino ad arrivare in Valle d'Aosta.
Le capre, eterne principesse di ogni pascolo, tutte con corna, tutte con campani.
I cani da pastore, in quel continuo abbaiarti contro,
Le mucche, infinita presenza di ogni angolo verde.
I cavalli, che correvano liberi e si accostavano curiosi.
Da bambino gli occhi sanno farsi grandi, e lasciano che sogno e realtà non sappiano più distinguersi, e forse è da lì che iniziai ad avere una vera e propria esigenza di pensarmi in montagna, una volta da grande.
Solo negli anni a seguire il desiderio di essere agricoltore, radicato in me come il più autentico tra gli autentici sentimenti, si fuse naturalmente con quell'esigenza di Montagna, portandomi alla convinzione che prima o poi sarei riuscito in questo.
Non necessariamente le Alpi, ma sapevo che avrei dovuto salire di quota: seppur bimbo, ho da subito pensato alla mia vita non in pianura o in collina, e mai ho associato la Montagna ai divertimenti invernali come lo sciare.
Si trattava solamente di riuscire a trovare il modo per realizzarmi in tutto questo.
Ma di anni davanti ne avrei avuti tanti, e tante le esperienze che sarebbero servite per arrivare sino a dove sono oggi: una montagna qualsiasi, in un luogo qualsiasi, a mille metri, col cuore pieno di emozione, la schiena dolorante, e la voglia di raccontare l'Agricoltura di Montagna, finalmente.
Agricoltura di Montagna, parte 2: Salire per confrontarsi
Quando è il momento di Salire in montagna ci sono sempre dei preparativi da fare.
Per prima cosa, il viaggio, generalmente nell'ultimo tratto tortuoso, spesso complicato, dove le strade si fanno più strette, e dove il tempo pare dilatarsi prima dell'arrivo.
Poi il meteo, che si sa essere assai mutevole, spesso imprevedibile, in montagna.
E di conseguenza l'abbigliamento, dando aria ai bauli ed a quelle scarpe adatte, a calzettoni pesanti, al vestiario che certamente" fu comodo l'ultima volta che Salimmo", e che" tornerà comodo anche questa volta".
E poi c'è da partire, chiudere l'uscio dell'appartamento nel casermone di cemento armato, o nella villetta a schiera che sia, per attraversare città e periferie, lasciare paesi o paesini, lasciandosi alle spalle l'amato mare, la costa, solcando le pianure più lunghe, bucando nebbie, affrontando colli e colline varie, e pensando al clima che cambia, all'aria che sarà più buona, al traffico da lasciarsi indietro, a quanto manchi prima di arrivare.
Per Salire in montagna c'è sempre un viaggio da fare, e spesso la prima meta non è mai quella definitiva.
Ed allora eccolo, l'amato castagneto, con quei frutti tanto dolci quanto bassi, stesi a strati nel terreno, tra ricci gialli e foglie croccanti. E lo si sente l'odor di brace, di fuoco buono, delle salsicce, della rostinciana, e si sentono i chiacchiericci ed i bimbi che giocano.
Eccola la faggeta, fresca, freschissima in quest'estate, e "per la miseria come si respira bene qui", ed "a pensare a come non respiravamo laggiù a casa nostra".
Ma è il momento di inforcare le ciaspole e bacchette, ed in fila fare quel sentiero bianco, mentre il sole scalda la faccia, e la neve ghiaccia le gambe che devono muoversi.
Ed infine, quelle praterie verdi, colorate di mille mila fiori, dove tirar calci ad un pallone ha un sapore diverso, dove pascolano le vacche ed i loro campani fanno da coro alla passeggiata.
Salire in montagna è scoperta, silenzio, divertimento, fatica, pensieri leggeri, acido lattico nei polpacci, la pancia piena, il sudore, le foto.
Metafora di vita.
Salire, per... Confrontarsi con la fatica, mettere a dura prova la propria Resistenza, decidere di fare un passo alla volta, senza guardarsi troppo indietro: passaggi questi alla base di molti trekking o scalate, ma importante metafora del confronto con la Montagna stessa.
Che sia per diletto o per necessità, che sia occasionale o frutto di una lunga organizzazione, salire in montagna porta sempre un confronto: appunto con la fatica e con la resistenza, ma anche con il tempo, e sopra a tutto con la Natura stessa.
Nell'immaginario la montagna è da sempre rappresentazione di forza e sacralità, di vicinanza al cielo ed all'infinito, di salubrità e difficoltà.
E quando si decide di Salire per Rimanere, identiche sono le dinamiche ed i passaggi, ma sarà il tempo a presentarci Confronti continui.
Chiudersi una porta alle spalle, lasciando quell'agio che mai più ritroveremo lassù; essere proiettati in una dimensione dove...non si può più fare tanto e di corsa, ma si deve fare l'essenziale e lentamente.
Il rapporto con il meteo diventa ordinario, e non più occasionale.
Il semplice andare a fare la spesa al supermercato assume una connotazione assai differente.
Lasciare il "tutto e subito a portata di mano" per un'organizzazione completamente diversa, dove le curve gelate, il tempo di percorrenza da un paese all'altro, il maltempo che arriva all'improvviso e sempre prevaricante di tutto il resto... sono soltanto alcune Abitudini da inserire nel nostro quotidiano, nei nostri ritmi, nelle nostre fatiche.
La Montagna pretende anche questo: fatica, non solo per una bella passeggiata domenicale di trekking, o per un fine settimana nelle piste di sci.
La montagna la fatica te la chiede alla mattina, per uscire dal vialetto di casa quando devi spalare la neve alta per portare i bambini a scuola, o quando non trovi un prodotto utile al tuo lavoro, e ti fai due ore di curve tra paese, paese, ed un altro paese, oppure quando rientrando a buio alla sera un albero abbattuto per il vento blocca l'unica via di accesso per il rincasare.
Non si può avere fretta per fare molte cose, piuttosto si devono fare le cose essenziali, accuratamente e lentamente.
L'orologio della propria vita pare perdere la lancetta dei secondi che scorrono, e quella dei minuti si fa piccina piccina: in Montagna si alza sempre gli occhi al cielo prima di organizzare qualcosa.
I temporali qui quando arrivano sono spesso delle furie divine, che d'improvviso arrivano, come d'improvviso se ne vanno.
Un pò come per le arrabbiature, ma bisogna lasciarle andare poichè altrimenti succhierebbero così tanta energia che ci affaticheremmo ad imprecare per qualcosa che è già andato oltre. E' bene le energie mai sprecarle in montagna.
E l'ultima considerazione la merita l'arrivo alla meta, dove il petto di riempie di emozione, e lo sforzo richiede quasi un'inchino a tanta bellezza.
Arrivare alla meta è un inginocchiarsi alla maestosità, a quanto di più grande i nostri occhi possano vedere, a quei tanti ricordi che nascono proprio da quel momento.
..ed un giorno chi è salito per rimanere si troverà ad aprire la finestra, a spalancare gli scuri, ed a emozionarsi tanto da piangere, forte, quasi volendosi inginocchiare al bello che gli si apre difronte.
La Montagna richiede questo: salire per...confrontarsi.
...e magati per rimanere.
Fine Marzo: Rincari, Crisi e Siccità
Grazie a questa ricorrenza, radio e giornali hanno deciso di dare spazio ed approfondimenti alla situazione climatica che la nostra penisola sta vivendo.
Un'(ennesima) anomalia meteorologica che vede l'assenza delle precipitazioni sull'Italia oramai da tanto, da troppo tempo: mesi di assenza delle precipitazioni con relative crisi idriche per colture in atto e colture da mettere a dimora.
La Giornata Mondiale dell'Acqua è quindi divenuto un pretesto per dare voce agli Agricoltori, e credo che in pochi siano riusciti a non inciampare almeno in qualche considerazione fatta sulla Grave Crisi Agricola in corso.
Ma facciamo un passo indietro...
Parallelamente a questo, Tutti stiamo subendo una crisi energetica, seppur l'energia ad oggi MAI sia mancata, seppur fino ad oggi il gas sia regolarmente arrivato in Italia, e regolarmente distribuito alle centrali elettriche, alle industrie ed alle abitazioni civili
Parallelamente Tutti stiamo subendo la crisi del grano, seppur in molte zone del conflitto bellico ancora il grano ancora non sia stato seminato, e l'assenza delle trebbiature sia ancora lontana mesi.
Parallelamente Tutti stiamo subendo il rincaro di prodotti alimentari senza comprenderne bene il perchè: non ci sarà il mais per fare l'olio di semi, e quindi rincara l'olio extravergine di oliva che dall'Italia esportiamo in tutto il mondo, oppure ci dimentichiamo che esistono altri tipi di oli di semi (che comunque rincarano).
Un eco...anticipatorio: stiamo pagando di più qualcosa che attualmente c'è, e che direttamente non è stato ancora direttamente scalfito dalla guerra.
Un eco anticipatorio che sta mietendo vittime, ed indovinate chi per primo paga le conseguenze di tutto questo?
L'Agricoltore, Anacronistico o non, e sta pagando a caro prezzo.
Mi si spezza il cuore quando sento di Allevatori della pianura padana che devono abbattere e destinare alla macellazione Vacche da latte gravide, poichè non avrebbero mangime per allevare madre e prole, rinunciando anche alla produzione di quel latte che dovrebbe portare sostentamento alle aziende in questione.
Follia allo stato puro.
Badate bene, non voglio intraprendere un discorso di politica agraria, o di gestione aziendale, seppur tante ne avrei da dire come Agricoltore.
Concentriamoci sull'Agricoltore di turno che non ha di che sfamare i propri animali, animali non propriamente indicati per il reddito derivante dalla loro macellazione (una vacca da latte viene macellata a fine carriera o se produce poco latte...non certo quando è gravida).
Concentriamoci adesso su quell'agricoltore che i Aprile semina il mais: centinaia di aziende vivono di Mais in moltissime parti pianeggianti dell'intera nostra Nazione.
Ecco, proprio quell'agricoltore, che ha lavorato i terreni nel mese scorso, adesso si trova di fronte ad un bivio: seminare o rinunciare?
Il Mais da seme scarseggia per motivi che continuo ad ignorare, visto che viene selezionato da aziende specifiche, e destinato alla semina già dalla sua post trebbiatura nell'estate precedente.
Il Mais da seme dovrebbe essere stivato nei magazzini, e pronto alla vendita da tempo...ma in molti sostengono che ci sia una scarsa reperibilità del seme, e quello che c'è è molto caro.
L'Agricoltore per seminare i suoi tanti ettari di pianura ha bisogno di trattori grandi, che muovano macchinari altrettanto grandi, e cosa ci vuole per fare tutto questo?
Gasolio.
Ma il Gasolio agricolo è arrivato a toccare prezzi da fantascienza, come nel peggiore dei racconti distopici.
Quindi il rincaro del carburante, sommato al poco seme che costa tanto, rappresenta un ENORME PROBLEMA per l'agricoltore che deve accingersi a seminare.
Ma ecco che il colpo di grazie lo da il clima.
Nemmeno una goccia d'acqua, per mesi, con una siccità che non ha eguali negli ultimi decenni.
Interi comuni nel nord Italia che hanno iniziato il razionamento delle acque irrigue...in Marzo.
Terreni duri, che comportano maggiore sforzo dei macchinari, e quindi maggior carburante.
Ed ancora, sicura mancanza di acqua per una coltura, quella del Mais (come anche quella del girasole e del sorgo) che necessitano di acqua per svilupparsi.
E l'acqua dagli invasi la si pompa con moori endotermici che vanno a...Gasolio!
Ecco che l'Agricoltore di turno si trova al bivio: seminare o non seminare?
L'incognita di una semina, al netto di quanto appena detto, si proietta in aventi di 4 mesi in cui il clima potrebbe fare e disfare tutto.
Ma l'Agricoltore di turno a quel punto cosa sceglie?
Come per l'Allevatore che macella le vacche da latte gravide, l'Agricoltore non seminerà, certo di contenere la perdita economica.
Due esempi macroscopici, che con le dovute proporzioni, innescano un effetto domino su TUTTA l'Agricoltura Italiana, ricordandoci che questo non sta accadendo sono nella nostra bella Nazione.
Le importazioni da Russia ed Ucraina sono, per motivi diversi, coinvolte.
Le importazioni comunitarie sono evidentemente condizionate, poichè la regola "ognuno per se" salterà fuori, ed ognuno attingerà prima di tutto alle proprie risorse, prima di condividerle con altri paesi.
Allora magari sarà sdoganato il mercato extracomunitario, consapevoli di andare ad inficiare quelle tracciabilità e garanzie di cui tanto ci sentiamo fieri?
Ottimi motivi questi per sdoganare anche il Mais OGM, che diverrà la panacea di tutti i mali: con quel tipo di mais verrà fuori che manco c'è bisogno dell'acqua per farlo crescere, anzi .che più il terreno è asciutto e più grande e buono questo crescerà.
Ed un pò come sta accadendo per l'energia Nucleare, ci porteranno a convincerci che bisogna sempre scegliere il Male Minore: in tempo di Crisi tutto può essere giustificato, non è vero?
Ed in tutto questo guazzabuglio, ci si mette pure il Padreterno (O chi per Lui) che ha chiuso i rubinetti, giusto per toglierci quelle due ore di sonno per notte che ci erano rimaste.
Cadono le bombe, la madre degli imbecilli non è mai stata così feconda e gravida, le nostre preoccupazioni sono sulle ferie che pretendiamo di fare la prossima estate, e l'importante è che lo smartphone sia di ultimissima generazione.
Forse ci meritiamo questo, ed anche molto peggio di questo.
Mi dispiace per quanti vengano qui in cerca di evasione: oggi anche l'Agricoltore Anacronistico deve ricordarvi che quanto stiamo vivendo è frutto delle nostre azioni, della nostra scarsa memoria e del nostro egoismo.
Ma forse da domani pioverà, e tutti ci dimenticheremo anche di questo.
Agricoltura di Montagna, parte 3: la gente di montagna
La gente di montagna prima di tutto è fatta di Custodi.
La gente di montagna, temprata nell'animo e nel fisico, non si perde in chiacchiere superficiali, ma mira all'essenza delle cose.
Quando si arriva in montagna, se per prima è l'aria fina e fresca ad accoglierci, è poi la bellezza a sovrastarci.
In montagna il bello lo si sente nel petto, diretto come un pugno, quasi a far male, salvo poi lasciare quell'indelebile sensazione di grandezza, apertura, ed innamoramento.
L'accoglienza spesso inganna chi arriva: se è vero che nei centri turistici la gente è assai più avvezza al dialogo, e all'accoglienza, è nei piccoli borghi lontani dal traffico e dalle consuete villeggiature che si può ancora ritrovare quella "resistenza" al forestiero dichiarata spesso in modo palese.
A volte ti danno la mano, ponendotela lentamente, quasi come a volerti studiare sino all'ultima frazione di secondo prima di concedere quel contatto, e nei loro occhi passa la curiosità al pari della titubanza.
Alcune frasi che potrete sentirvi dire sono:
Poche parole, dirette, a ribadire quei concetti che son cari a loro, e che è importante che chi arriva possa conoscere da subito.
L'inverno è duro, i rimasti sono i vecchi, le tradizioni rischiano di svanire.
Veniamo accolti da un monito che da subito deve metterci in guardia: in montagna le cose sono difficili, ed oggi le cose difficili non piacciono alle nuove generazioni.
Non si sgomentano certo se c'è da spalare neve, o da rimanere serrati dentro l'uscio di casa: legna e vettovaglie non mancano mai.
Persone pronte, che sanno prevenire, seppur negli ultimi anni stiano subendo profondamente tutti i cambiamenti del clima.
Camminando per un villaggio e spesso possibile scorgere numerose case chiuse, talvolta anche in preda all'abbandono.
Le seconde case si popolano in estate, nelle vacanze natalizie e quelle pasquali, ma l'anno in montagna dura assai più giorni. di quelli delle vacanze.
Nel resto del tempo tanti sono i luoghi dove il latrare di un cane, piuttosto che il campano di una mucca, sono gli unici rumori che accompagnano quelli del vento, degli uccelli, della pioggia.
Oltre le mete sciistiche, oltre le perle annoverate nelle guide turistiche, oltre i luoghi di passaggio, o gli affacci sui siti da visitare ...oltre tutto questo c'è una montagna da scoprire, sempre con Rispetto.
Il Rispetto guida anche lo scambio sociale che il nuovo arrivato deve imparare: entrare in punta di piedi, senza eclatanze, e con la voglia di ascoltare nel tempo e nei dialetti del luogo.
L'approvvigionamento delle bottiglie d'acqua alla fonte, un sorriso e l'augurio di un buon giorno, la carezza data ad un cane, i complimenti per il balcone fiorito, un sorriso sincero: per quanto mi riguarda questi sono stati i miei primi passi quando ci trasferimmo.
La richiesta d'informazioni, e quella curiosità gentile e mai invadente, hanno poi fatto da motore a tutto il resto.
Io, che vivo lontano da tutto, non ho avuto fretta e smania nel presentarmi alla gente di qui, ed ogni volta che scendo al paese, o che passo nel borgo, trovo persone che mi salutano, mi appellano con nomignoli divertenti, e che mi chiedono del mio lavoro e della mia famiglia.
Come in un abbraccio lungo, a volte m'illudo di essere uno di loro.
Agricoltura di Montagna, parte 4: il confronto con il clima
In Montagna è sempre duro il confronto con il clima.
In Montagna tutto può essere improvviso, dove l'uomo si fa ancora più piccolo di fronte alla roboante necessità espressiva di un clima che raramente avvisa.
Durante una passeggiata in montagna sarà capitato ai più di imbattersi in un acquazzone improvviso, in quella nuvola scura che scarica senza troppi convenevoli sulla testa dei "malcapitati" escursionisti.
In Montagna il maglione ed il k-way ci vogliono sempre, anche quando il sole splende.
In Montagna è bene essere previdenti e premunirsi dell'occorrente per non incappare in spiacevoli situazioni.
La prima considerazione è che maglione e k-way non si possono mettere in mille situazioni, e che il lavoro svolto può subire repentini cambi di programma, interruzioni, e spesso veri e propri abbandoni.
Si guarda il calendario lunare, si consultano i vari meteo, e la sera avanti si tiene il naso all'insù per tentare di capire quali bizze farà la stagione all'indomani.
I dolori alle ossa sono universale avvisaglia.
Ma spesso non basta.
La banderuola rumorosa ci avvisa che il vento cambia, e dal letto il latrare del cane sembra più lontano: vento da nord, e nessuno lo aveva previsto.
Se in estate il vento da nord porta fresco a cielo terso, in inverno porta freddo e bufere.
Lo stesso vento, in momenti diversi dell'annata, può essere un buon aiuto al lavoro, o piuttosto può rappresentare una lunga interruzione al lavoro da svolgere.
Il vento, quello forte...ma forte davvero, quassù fa danni, si sbatacchia contro il fianco di un colle, e se ci si mette d'impegno lo spoglia di alberi e boschi.
Il vento in Montagna non manca mai.
Oppure la pioggia portata dalle nuvole basse, fine e bagnatissima, che s'appiccica addosso e pare volerti trapassare lo sterno: pioggia che non fa rumore questa, ma che bagna anche l'anima del povero Agricoltore.
Cornice ed attrice della vita di quota, che sia agricola o non.
La Neve spesso la si sente arrivare nell'odore dell'aria.
La Neve quasi sempre è annunciata da previsioni veritiere.
La Neve sempre arriva quando le pare, e rimane quanto le pare.
Tutto si deve fermare, almeno all'inizio, giusto il tempo di capire come procedere: potrebbe bastare ben poco per continuare la propria vita (in Montagna la Gente è attrezzata), oppure ci sarà da lavorare non poco per riuscire a combinare qualcosa (la Neve è faticosa da spostare), oppure di casa non si esce e...ed il tempo si può anche fermare (ci si adatta in montagna).
Delle decine di nevicate che ho vissuto in questi ultimi anni, ce ne sono state alcune che mi hanno permesso di continuare a lavorare, altre che mi hanno fatto faticare molto prima di riuscire ad arrivare al paese, ed alcune che...che mi hanno imposto do adattarmi, togliendomi la corrente elettrica (anche per lunghi periodi...giorni), bloccando la via di casa (e lasciandomi quindi isolato...ancora di più), e facendomi usare la neve stessa come unica risorsa idrica (anche per lunghi giorni).
Ma ci si deve far pace con questo: fa parte di questo luogo, è imprevedibile, e comanda sempre lui.
Il clima in Montagna, comanda sempre lui.
Ma come Agricoltore ci sono animali da accudire, lavori da terminare, scadenze che passano in secondo piano, e...fatica, fatica, ed enorme fatica.
Ci vorrebbe l'inchiostro di un'intera penna per scrivere quanto sia faticoso dover contrastare il clima.
E solo la bandiera bianca impugnata da ultimo può far capire all'Agricoltore che non si deve contrastare, ma ci si deve confrontare con il clima, consapevoli che sia Lui a vincere sempre e comunque.
Ed allora come si fa?
intanto ci si da pace, perchè se si sta bene nel petto, s'affronta meglio il tutto, perfino le avversità.
Oggi con un semplice telefono di possono consultare almeno dieci app di meteorologia, e quindi è bene tenersi aggiornati non soltanto dalla sera precedente, ma anche nel corso della giornata stessa, più e più volte. Saper leggere barometro ed anemometro, conoscere venti e nuvole diverse, dar spazio all'olfatto che tanto ha da dirti anche sul clima, fermarsi ad osservare il comportamento degli animali selvatici (loro non hanno gli smartphone..eppure anticipano sempre).
La lunga estate torrida, ed un Caro Saluto a Piero Angela
Il tempo passa.
E talvolta corre a lunghe falcate.
Eccomi qui, di mezzo Agosto, a scrivere dopo un lungo silenzio.
Quante ne avrei da raccontare...
Vi rimando a QUESTO POST scritto a fine marzo.
Ebbene, seppur di aprile sia piovuto, la lunga estate torrida si è spalancata su Maggio, e si sta trascinando avanti da tre mesi.
Come detto altre volte, non bisogna essere agricoltori per tentare di capire che cosa questo stia significando per la Natura e per l'Agricoltura.
La vita procede, e ci son state soddisfazioni, e son certo che altre arriveranno.
La notte è tornato il fresco, mancato solo per un paio di settimane in luglio), e di giorno tramontana e grecale fanno respirare bene anche sotto al sole.
L'assillo degli incendi c'è sempre, e si fa tanta attenzione per tutto.
Si lavora.
I ricci stanno crescendo sui castagni, la legna da ardere per l'inverno viene stivata.
Stranamente le galline continuano a fare uova agostane.
Le regine delle api non vogliono smetterla di covare, ed arnie numerosissime si stanno rimangiando il tanto miele che hanno prodotto.
Ho un pensiero oggi sabato 13 AGOSTO 2022, per Alberto Angela, famoso divulgatore scientifico presente nelle televisioni di noi italiano.
A lui, alla sua famiglia tutta, mi piacerebbe lasciare un pensiero, dispiaciuto solo che mai lui possa leggerlo.
Quark, anzi "Quarchee" come si chiamava in casa, e l'immancabile "Aria su quarta corda di Johann Sebastian Bach" che appena iniziava c'era la corsa per accomodarsi di fronte al televisore, impazienti di scoprire dove quel signore ci avrebbe portato quel giorno.
Io bimbo, come milioni di altri bimbi, adolescenti, adulti ed anziani, ero innamorato di quella voce e di quel balletto che facevano quelle mani mentre accompagnavano le parole.
Chissà in quanti avranno sentito come "di famiglia" quella voce, quei momenti.
Io son cresciuto con Piero Angela...ci son cresciuto davvero, tanto da sentirlo come un nonno che mi insegnata tante cose.
E l'ho seguito quando da adolescente creò Super Quark, facendo i salti mortali per non perdermi una puntata.
A lui, a Piero Angela, io devo certamente una parte della mia passione per le scienze e per la conoscenza in genere, e non mi vergogno a dire che oggi il cuore mi s'è intristito profondamente sapendo che ha concluso il suo viaggio tra noi.
Ad Alberto, bravo ben oltre il cognome che porta, un semplice abbraccio commosso, qui dalla montagna, in questa fresca estate di mezzo agosto.
L'Agosto dai cento giorni
Scendendo poi sino al torrente, sempre ricco in ogni estate, questi si presentava asciutto, dove neanche un rigo d'acqua collegava i pochi bozzi rimasti a fare da rifugio a pesci, insetti e ad abbeverare i pochissimi animali rimasti a vivere nella sua prossimità.
Il prato di fronte casa era oramai seccato, ed era così tragico vedere che le api vagavano senza una meta, accostandosi alle finestre di casa ad elemosinare ai profumi del cucinato.
Ormai patate e cipolle erano compromesse ,e persino il grano saraceno non riusciva a fiorire.
La pioggia ha iniziato a cadere, le temperature erano sempre più alte.
La siccità è terminata, tutto da un giorno ad un altro, e senza tregua ha piovuto per oltre un mese.
Tutti i giorni un acquazzone, tutti i giorni un temporale, quasi tutti i giorni una grandinata.
I momenti di pioggia si intervallavano a momenti di sole torrido, assurdo, incomprensibile, doloroso, che come un cane furioso continuava a sbranare la pelle ancora bagnata dalla pioggia di pochi minuti prima.
Il cappello di paglia si alternava al cappuccio dell'impermeabile, e tutto era così instabile, avanti e avanti sino a che a fine settembre le temperature sono addirittura aumentate vertiginosamente.
L'ottobre violento, una manata data in piena faccia ogni mattina ed ogni sera, un caldo incomprensibile: stare a maniche corte in un mese in cui il fuoco nel camino doveva già essere acceso.
Nuove gemme hanno iniziato a svilupparsi nelle piante, gli aceri si son colorati di un verde brillante piuttosto che iniziare a far cedere le prime foglie.
Ottobre, dove le poche patate cavate alternavano una strana quantità di castagne, scadenzata troppo lentamente, quasi come se gli alberi non volessero più cedere quello che con fatica erano riusciti a produrre.
La camicia sempre aperta, Il fiasco dell'acqua sempre a portata di mano, gli occhi sempre increduli a vedere quello che si proponeva tutto intorno.
Come agricoltore c’è sempre una necessità di guardare l'aspetto positivo, e di fatto l'orto ha prodotto quello che nei mesi estivi non poteva produrre.
Purtroppo hanno sofferto i pomodori, tanti, che sono marciti sulla pianta, come anche le cipolle che sono nuovamente germinate, ma le verdure a foglia sono state meravigliose, fragole grandi come mandarini, zucchini sino a far scoppiare il frigorifero.
E gli animali selvatici continuavano a non presentarsi all'uscio di casa, non c'era la classica processione autunnale, niente di tutto questo, e neanche sotto i castagni a pascolare.
Arrivare alla fine di ottobre e guardarsi indietro, sentendo che il Primo di Novembre arrivava Finalmente il freddo. o meglio, arrivava finalmente l'autunno dopo quei 100 giorni di un agosto folle, così bastardo, così violento, così... impaurito.
Io non mi sono mai sentito solo come in questo periodo, abbandonato da quelle poche e solide certezze, nuovo di fronte a tutto e a tutti, contro tutto e tutti.
L'Albero di Natale: la tradizione di famiglia
In ogni Famiglia abita una propria tradizione, piccola o grande che sia.
Le sue radici affondano nella regione, o provincia, o zona in cui la Famiglia vive (o ha le proprie origini).
Ma molto dipende anche dalle "contaminazioni" inevitabili che oggi più che mai sollecitano le nostre abitudini deviandole sul nuovo e talvolta diverso.
Ed ecco che le tradizioni, anche quelle della Famiglia, spesso si perdono senza neanche accorgersene.
"Sembra ieri che..." E qualcosa è andato perso, senza che ce ne fossimo accorti.
In molti credono che dobbiamo lasciare il vecchio per far posto al nuovo: io non la penso in questo momento, poichè non credo che noi siamo dei contenitori che non possono tenere "dentro" oltre un certo limite.
Vecchio e nuovo possono e devono convivere, mutandoci magari, ma sempre un comune denominatore rappresentato da noi stessi.
La mia stessa esperienza in questo blog credo l'abbia più volte confermato: io credo nelle tradizioni, e le reputo necessarie per affrontare il progresso, non solo in Agricoltura.
Tradizioni, appunto, ed in questo periodo dell'anno è ancor più facile farle riaffiorare, rispolverare, dedicando sorrisi e lacrime a quanto " il nostro sempre" ci ha affidato.
Sono stato un bambino molto fortunato, cresciuto nell'amore di una famiglia dove genitori, nonni e bisnonni mi hanno dato tanto, senza viziarmi, sempre spronandomi a mantenere le loro tradizioni, tante, diverse, ma tutte collegate.
Su tutte ricordo la tradizione della mia amata bisnonna, nata nel 1908 ed ultima di cinque fratelli.
Viveva nella montagna tosco-emiliana, e per la sua famiglia il Natale veniva chiamato anche "il Ceppo".
La tradizione voleva che il giorno di natale venisse messo un pezzo di tronco (il ceppo appunto) di abete nel camino, a margine, e che questo venisse bagnato con (poco) vino e lasciato ad ardere a fuoco morto, a far fumo e profumo, ed a benedire la casa.
La sua famiglia era molto povera, ed il giorno di Natale il suo babbo consegnava ai cinque figlioli un arancia.
Il più grande dei fratelli, col suo coltellino affilato, lo sbucciava, senza sciupare la buccia, e consegnava uno spicchio per uno, e poi ancora un altro, dividendo in parti uguali quelli che sarebbero rimasti fuori dall'assegnazione.
La mia bisnonna si commuoveva annusando, e poi mangiando, quella delizia così esotica e lontana dagli odori e sapori della sua montagna.
Le bucce poi venivano lasciate essiccare, ed ognuno dei fratelli ne teneva un pezzettino nel canterano, tra i pochi vestiti che avevano, a profumare e ricordare.
La tradizione de "il ceppo" era diffusa anche in altre origini della mia famiglia, e mio nonno paterno ha sempre chiamato così il Natale, dove l'albero era rigorosamente il ginepro, e gli addobbi erano poche palline di cartapesta o di vetro, nastrini e qualche caramella.
Alla mia bimba io ho raccontato almeno cento volte il racconto del mio Natale di bimbo.
Leggetelo se vi fa piacere: http://agricoltoreanacronistico.blogspot.com/2020/12/natale-2020-la-storia-di-un-bimbo-e-di.html
Nella mia tradizione diretta, c'era il Pino come albero di Natale, che solo durante la mia adolescenza divenne Abete Rosso, questi rigorosamente in vaso.
La solennità, il calore, l'importanza tutta di quei gesti, di quegli odori, dello scartare le palline di vetro dai vecchi fogli di giornale, tutti quei ricordi...
io ho sempre amato il Natale, non molto in modo prettamente Cristiano, ma con un approccio pagano e sopra a tutto familiare.
Quest'oggi che son babbo, sento tutte quelle voci che mi accompagnano, e sento la responsabilità e la necessità di trasmetterle a mia figlia, con piccoli gesti, ogni anno ripetuti, con aneddoti sempre raccontati allo stesso modo, con oggetti carichi di storia familiare, con un atteggiamento di protezione ma anche di apertura.
Ecco, in una pausa della pioggia, sono uscito con il segaccio a mano ed i guanti, e nella scarpata sopra al torrente l'ho visto, dopo averlo cercato giorni e giorni prima: lì c'era il nostro albero di Natale, pronto per il suo penultimo passaggio.
Un pino, con la base decimata dai cinghiali che da anni lo usavano per grattarsi le groppe.
Lui aveva retto, spurgando kili di resina, ma alla fine aveva dovuto cedere, iniziando a seccare.
Non sono bravo in molte cose, ma so vedere quando una pianta è morente, e questa non sarebbe arrivata alla prossima calura estiva.
Allora, come faccio oramai da tanti anni, l'ho ringraziata a modo mio, l'ho segata, e con tanto sforzo me la sono trascinata sino alla casa.
In ogni passo di fatica, in ogni sforzo, i trovavo un giusto tributo da parte mia a quella scelta.
La resina nelle mani mi ricordava la vita, la resilienza ed il pianto di quell'albero, e quasi come potesse sentirmi lo ringraziavo.
A casa gli occhi della bimba sono stati il regalo più grande a ripagare tanto sforzo: era così felice...
Posizionato nella casa, e stato poi adornato da tutta la famiglia, tra ricordi e sorrisi, nell'euforia fanciullesca che correva a destra e manca, portando le palline e gli addobbi a chi stava sullo scaleo.
E quando io ho messo il puntale, allora ci siamo abbracciati, ripensando all'arancia della sua trisnonna, o al ginepro del suo bisnonno, e a tutti gli altri suoi avi che mai ha conosciuto, ma che mai come in quel momento erano vivi l', con lei, a mantenere intatta la nostra...tradizione di famiglia.
Vi auguro un Sereno Natale, nella speranza che anche voi possiate ritrovare quelle carezze e quei ricordi, e che li possiate trasmettere ai più giovani.
Grazie per aver letto tutto questo.
Isolamento
Oggi è il telefono che dispensa la melodia del risveglio, mentre i muscoli già si distendono e il corpo si allunga quasi a toccare i confini del letto: è buio fuori, e l'aria fresca entra a forza, solo scoprendomi un poco dal pesante coltrone.
Fa Eco uno sbadiglio, il rumore delle molle del materasso, il tonfo sordo dei piedi che si posano sulle tavole del pavimento, le ciabatte che scivolano nel buio allontanandosi dal letto.
Non ho bisogno di un lume per trovare gli scuri della finestra, ed aprirli per vedere quale giornata mi attenderà.
Col massimo riguardo rubo ogni istante di quella prima affacciata sul giorno, aprendo appena la finestra e rubandone subito odori e rumori.
E a volte, solo in quel momento, penso che l'anima più vicina a noi sta dormendo ad almeno 2 km di boschi e castagneti.
lontani dall'asfalto e dai lampioni arancioni, è quello il momento più bello della giornata.
Negli oltre tre anni vissuti qui in montagna tante, praticamente tutte sono le persone che continuano a chiedermi come io, noi, si possa vivere così isolati.
Ogni volta che qualcuno di nuovo mi viene a trovare, o che qualcuno di vecchio torna a ritrovarmi, sempre la stessa domanda: " come fate a vivere quassù?".
E molto spesso questa domanda è accompagnata da una affermazione: "... Io non riuscirei mai a vivrtr qui, come fate voi".
Un loop, continuo, che sin dal primo giorno mi fa sorridere, e sin dal primo giorno sfrutto con tanti aneddoti che possano ancora di più far pensare a quanto sia difficile vivere in montagna (così isolati).
Io stesso mi sono chiesto più volte che cosa fosse l'isolamento.
Negli ultimi tre anni tutti siamo stati forzati nel co0mprendere un (nuovo) concetto di isolamento, valido tanto da un punto di vista sociale quanto prettamente materiale.
Quel virus ha creato il pretesto per allontanarci, credendo che invece sarebbe accaduto il contrario, e per renderci più individualisti e asociali...o perlomeno questo è il mio punto di vista.
Mentre nel palazzone dalle trenta famiglie veniva fatta la gincana per non sfiorarsi uscendo dall'ascensore, autoinfliggendoci apnee al sapor di disinfettante, a me...ed a chi vive come me, poco è cambiato.
Oggi, come negli ultimi tre anni, la mia giornata iniziava aprendo la finestra, scaldando la casa, e andando a lavorare fuori all'aperto.
Fortune queste che sempre ho riconosciuto, e che mai ho ostentato, per rispetto e per intelligenza.
Ma mentre le settimane bianche, o le ferie d'estate consegnavano il "liberi tutti" ad orde di mascherati in cerca di riscatto, io continuavo a svegliarmi sempre alla stessa maniera, in quel rituale che avvia da anni la mia giornata: senza sabati o domeniche, regolato solo dalle nuvole ed dal sole, io non sentivo differenze, come non ne sento oggi.
Ma conosco l'isolamento, credetemi.
Conosco bene cosa rappresenti l'essere da solo, l'essere lontano dai più, e chi segue questo Blog credo possa essersene reso conto negli anni trascorsi.
Isolato, con i propri ideali, in un atteggiamento critico verso tutti, e per primo verso me stesso, sempre e comunque, pronto a riconoscere l'errore, analizzarlo e trarne l'insegnamento.
Isolato, per una burocrazia che mal individua il piccolo...minuscolo agricoltore svincolato dalle graduatorie e dall'agricoltura dei contributi.
Isolato, da una società che non capisce quello che faccio, e sopra a tutto non capisce..perchè lo faccia.
...e tutto questo non certo da un giorno.
La scorza, quella dura, si forma, per forza: non mi sento pecora nera in questo gregge, ma semplicemente non mi sento pecora...e nessuno dovrebbe mai farmene una colpa.
Mentre i treni corrono, vago altrove, senza il bisogno di "scendere appena posso", senza il bisogno di urlare una ragione, senza il bisogno di sentirmi migliore.
Ma come mai se io non mi sento migliore, altri vorrebbero farmi sentire peggiore?
Non rubo, non danneggio nessuno, lavoro a capo basso, amo la mia famiglia, e mi adoperò al massimo per essere un buon padre, un buon marito, un buon figlio, un buon amico.
Non ho mai speculato su nulla, mai.
Non ho mai voluto una corsia speciale, e quando la vita me l'ha data...mi è pesato percorrerci piccoli o medi tratti di cammino, cercando di svincolarmi appena possibile.
Non so vendere me stesso.
Non voglio vendere me stesso, cercando di essere Personaggio, prima che Uomo.
Non recito una parte, ma sento di vivere un ruolo in questa Vita.
Morirò povero, ma spero di aver arricchito le vite di chi amo.
E dei quattrini sinceramente mi importa una sega: non voglio essere schiavo, o se proprio devo esserlo ho bisogno di catene molto lunghe.
Credo negli ideali che per me, per insegnamento della mia Famiglia, sono i veri pilastri del Vivere.
Credo nell'Amore verso gli attimi, verso le parole giuste, verso quei ponti invisibili ma solidi, verso la lealtà, le piccole cose quotidiane, la Bellezza tutta.
Son pronto a sbagliare, sbagliare e sbagliare ancora, e questo non mi farà mai sentire un uomo peggiore di altri, ma solo un uomo che non si illude di essere migliore di altri.
Credo nelle diversità. e le accolgo come opportunità di confronto, di crescita, di insegnamento.
Eppure...
Eppure io conosco l'isolamento, forse da una intera vita, e conosco la soddisfazione ampia e profonda di sentirmi bene, a mio agio, convinto, nei miei ideali.
Stoico, cocciuto, stacanovista, perseverante...m lo dicono sempre quelli che mi voglion bene, e per me sono abbracci e non ceffoni.
E mi sta bene essere diverso, e mi sta bene essere semplice nel mio modo di essere complicato.
E quindi, si..mi sta bene questo Isolamento, che mai mi abbandona, quasi fosse un gran compagno di Vita.
Alla fin fine, se si sta bene cons e stessi, non servono le Corti del Re per sentirsi forti nelle proprie decisioni.
Io sbatacchio il muso, quotidianamente, faccio errori, cerco di migliorare, recuperare, aggiustare, sempre, senza paggetti o pacche sulle spalle, senza groupie o canapi di sostegno.
Ed in tutto questo, mai è pesato l'Isolamento.
E' mattina fatta, l'odore della legna di castagno accompagna la casa.
Il bollitore fischia sulla stufa a legna.
I daini banchettano nel prato dietro al pozzo, il cane latra per svegliare tutta la Natura.
Il sapore del caffè da sostegno, mentre le mani son già sporche.
Tre messaggi nel telefonino mi raccontano di meteo, fatiche e giornate altrui.
Scaldo il motore del trattore, la brina sul cofano par ballare per le vibrazioni.
Mi giro a guardare le finestre di casa che come occhi paion vegliare sul mio operato.
E' freddo, evviva l'inverno quando è freddo.
Vento di Libeccio
E' oramai l'alba quando comprendo che il sonno non è stato abbastanza.
Accade quattro volte all'anno, con una regolarità anacronistica ed impressionante: tutte le stagioni si ribaltano, ma ancora il vento di libeccio viene a scuoterci sancendo rigorosamente il cambio della stagione.
L'ultima volta pochi giorni dopo natale, a spazzar via l'umido e la pioggia durati due mesi, e a consegnarci il freddo vero, la neve, ed il gelo.
E prima ancora lo aveva fatto a fine ottobre, a termine di quell' Agosto dai cento giorni, quando con prepotenza interruppe la lunga coda dell'estate calda.
E prima ancora in aprile, iniziando una stagione delle piogge e spezzando le redini a quella tremenda siccità che anche lo scorso anno aveva accompagnato la fine dell'inverno.
Il Vento di libeccio, per molti popoli tirrenici "in vento di mare", che quassù spira raramente, e che quando arriva ama torturarci a dovere, sradicando alberi, troncando rami, spostando tegole sul tetto e rendendo pericolose anche le semplici operazioni intorno al podere.
Mi piace, lo confesso: mi piace quando la natura ci ricorda che è la sua Potenza a poter (e dover) darci una regola, a noi omuncoli affaccendati, coi capi chini sopra i nostri impegni, e con memorie troppo corte per ricordarci le cose "ancor più importanti".
Le nuvole grigie scorrono e s'intrecciano, in un'orgia di sfumature che porta al delirio delle proporzioni e delle distanza: un attimo par di poter toccare questo, e l'istante successivo ci si sente infinitamente minuscoli.
Rombano i rami, fischiano le reti di recinzione, e dondola il bosco tutto, ancor grigio e marrone per la veste invernale, risvegliato a forza dopo il lungo torpore della tanta neve caduta.
L'odor di erba secca si mescola a quello del mare, lontano, ma che sa allungar pe proprie dita sin quassù, quattro volte all'anno, come un gigante che rivendita territori a lui mai attribuiti.
Sulle labbra si sente il sale, mentre accompagna ogni pensiero l'idea che tra poco il rigoglio primaverile urlerà e pretenderà tutta la mia attenzione.
Mentre l'ultima Luna calante d'inverno compie il suo cammino.
Orto Anacronistico: l'approccio
La tiritera dovrebbe iniziare con la frase "...perchè è da quando son bimbo che faccio l'orto...", ma questo non ci porterebbe nel focus dei questo post, per cui vado diretto al punto: FARE L'ORTO PER BISOGNO.
Citazione n°4
"Sai bimbo?!
Ci son piantine che nascono sotto ai sassi grossi, e spingono e forzano parecchio tempo per cercare di venir fuori, ma nulla.
Poi un giorno il sasso rotola poco più là perchè qualcuno lo urta, ed allora la piantina pole crescere come tutte le altre accanto, ma non sarà mai come tutte le altre seppur anonima alla vista...
La forza accumulata nel tempo quando era all'ombra e schiacciata, e la voglia di vivere, la renderanno sempre pronta a resistere alla siccità, al gelo ed alle avversità in generale.
Io te lo auguro, bimbo."
Zìbruno
Maggio: trentun giorni non bastano a fare un mese
...ed io che pensavo che i cinghiali fossero testardi, ancora non avevo avuto a che fare seriamente con quest'altro tipo di animali.
Tra un tuono ed un raggio di sole è un continuo tribolare
Tra un tuono ed un raggio di sole è un continuo tribolare.
E passa anche questo giugno, fradicio e roboante, nervoso e perentorio.
Guai a star calmi, guai a fare un programma, guai a non dover lavorare per tre.
Mi siedo, sul ceppo molle dell'ultima acquata, ed annuso odor di fretta e caos.
Vedo marcire le piantine ancora in (lunga) attesa del loro trapianto, mentre l'erba cresce a dismisura, colorata di un verde sciapo.
Le fioriture rallentano, o falliscono, mentre la grandine si diverte a crivellare le poche audaci resistenti.
Le api si rimangiano tutto il miele fatto, e tra pochi giorni dovrò nutrirle artificialmente per non vederle perire.
Non si possono fare le lavorazioni col trattore, col motocoltivatore, ed a camminare si affonda, figuriamoci pensar di seminare qualcosa.
I castagni non fioriscono, quasi come a trattenere sino all'ultimo quella necessità di salvarsi.
Il fieno trapassa, o marcisce, e comunque sarà annata storta come poche prima d'ora.
Ma poi penso a chi sta peggio, e cerco di non lamentarmi troppo: tutte le batoste m'hanno fatto venire i calli, e so che mi rialzerò in qualche modo.
Si passa dalla polvere al fango, ma la fatica e le rinunce son sempre le medesime: quando l'Agricoltore potrà esser legittimato a "far pagare il suo rischio" al committente?
Vallo a spiegare al committente cosa e quanto rischia un Agricoltore.
Come minimo il committente di turno farà parte di quelli che si sgomentano perchè non possono ancora andare al mare: convinti come sono di trovare a prescindere la verdura al supermercato, non si indigneranno quindi se questa arriverà dal Paese di Chissaddove, o costerà un occhio della testa.La gente stolta non imparerà mai: teste dure come le pine verdi.
Tra un tuono ed un raggio di sole, si sta gobboni nel fango, a veder le pinte patire, gli animali in difficoltà, pensando a quale "sciagura di turno" ci coglierà la prossima volta.
Ecco che ripiglia a tuonare, sarà bene levarsi di torno da questo ceppo e andare sotto alla tettoia, che di grandine nel capo n'ho presa sin troppa.
E' un continuo tribolare.
Ma guai a disperarsi: il 19 Giugno farà la Luna Nuova, ed entreremo nella luna di Giugno (ritardataria e tanto agognata).
E magari la Luna Nuova si porterà dietro la bella stagione.
La Vita al Podere, mentre l'Agosto galoppa via
Svegliarsi al mattino presto non è stato (quasi) mai un problema.
Ma quest'estate i giorni sono iniziati troppo presto, anche un'ora prima dell'alba: forse l'insonnia, forse la voglia di fresco mattutino, forse i tanti pensieri.
C'è un momento nuovo quindi, che è quello prima dell'alba, quello a cavallo tra le 4:30 e le 6;00, in cui mi affaccio alla finestra e letteralmente mi nutro di ogni profumo e rumore che gli ultimi scampoli della notte possono offrirmi.
Non troppi giorni fa una stella cadente è stata così potente nel lasciarsi dietro una scia, che per un attimo (assai lungo) ho pensato di sognare.
E questo luogo concilia i sogni ad occhi aperti...
La mattina comunque inizia con un caffè, e poi esco di casa e libero il cane, cosicchè possa mostrarmi da subito dove gli animali selvatici siano stati a far danni nelle ore precedenti.
Non è raro sentirmi imprecare di primo mattino, mentre faccio l'ennesima conta dei danni, tra recinti elettrici sfondati e recinti di rete "aggirati con abile maestria ed impavida audacia".
Potrei scriverci un libro su "Come essere beffati dal selvatico: 1001 modi per aver travasi bi bile e foraggiare tutti gli animali della zona"
Ma poi ci rido su, e cerco di risolvere il problema, mentre il sole già scalda il collo, e la schiena si fa pesante.
L'orto attende la visita per la colta mattutina, e zucchini, zucchini, ed ancora... zucchini riempiono panieri e cassette, mentre i pomodori stentano a maturare e tutte le verdure sono rallentate nella crescita.
Sarà l'altitudine, sarà il vento forte, sarà quello che sarà, ma è un male comunque questo, quello di avere orti qui in montagna che zoppicano e non vogliono esplodere con le maturazioni.
In questi giorni poi ho iniziato a sistemare la legna per l'inverno.
La sto accatastando e stivando al meglio, sicuro che con l'inizio delle piogge settembrine sarà complicato farlo.
E la cosa comica è sudare sino a marcire, sotto il sole che mi prende a cazzottoni i pensieri, per preparare la legna che dovrà...scaldarci in inverno.
Se almeno potessi conservare tutto il calore che accumulo mentre preparo la legna...
Il pranzo è rigorosamente leggero: pomodori, o patate lesse fredde, o fagiolini lessi freddi, o insalata.
L'immancabile pane ed olio, e magari un pò di gelato.
Un pisolino, e via di nuovo a lavorare.
Trinciare con il trattore, iniziare a lavorare le terre, ancora legna, la stalla da aggiustare.
E a far sera ci vuole veramente poco.
Il mal di schiena mi grida che è l'ora di rallentare, ed il continuo canto del gallo mi fa capire che è l'ora di annaffiare: accendo la pompa del pozzo, ed acqua (poca) fredda scorre lungo i tanti metri di tubo, portando vita a quelle piante bisognose.
Fino all'ultimo i tafani vogliono farmi compagnia, e solo "a buio" spariscono.
La cena, robusta e lenta, le chiacchere in famiglia, gli occhi che si chiudono a tavolino.
Ma il dopo cena è l'unico momento per parlare e recuperare, e quindi trattenersi svegli è un piacevole obbligo.
Il cane da dentro la sua cuccia mi avvisa che i caprioli sono al cancello, e la nuova nottata sarà all'insegna di stelle, latrati, silenzi e vento fresco.
La Pioggia: sensazioni quasi dimenticate
Piove.
Quasi non ci credo.
Sono in piedi di fronte alla finestra, e le gocce rigano il vetro, le tegole cantano a festa, e l'acqua cambia la tavolozza dei colori del panorama.
Tre giorni in settembre, per poi vanificare tutto con una settimana di tramontana forte.
Tre giorni ad agosto, per poi vanificare tutto con una settimana di tramontana...calda.
E l'ultimo ricordo di tutto questo risale al 27 giugno, quando dopo due mesi di pioggia quasi ininterrotta, il caldo si impadronì anche della montagna, e tutto cambiò.
Estati strane, violente nel loro prendersi spazio nella vita di tutti, violentando quasi il lavoro dell'agricoltore.
Estati lunghe, ritardate, anticipate, posticipate, pesanti, tremende, colme di imprevisti, e...prevedibili in tutto questo.
Poche le castagne, e piccole, rimangono aggrappate sulle piante, quasi come a voler aspettare sino all'ultimo quel tuffo di vita.
Trifoglio che rifiorisce, per la quarta volta oramai da giugno.
Api che producono miele.
Le ragnatele nella stufa a legna.
I pomodori ancora fioriti.
Ma ora Piove, e mi godo questo momento, senza pensare per quanto e come pioverà.
Soltanto, godendomi la pioggia.
Il Cacciatore: una figura anacronistica?
Durante una pausa dalla pioggia, con la cappa scura indosso, lascio che i pensieri scivolino senza inghippi e possano qui fermarsi, almeno per qualche attimo ancora.
Mi interrogo, immaginando la sorte di quel cacciatore che, sudato e bagnato dalle frasche fradicie, chissà quanto abbia scarpinato per ore prima di giungere nel luogo di quello sparo, lontano chissà quanto dalla sua auto.
La fatica, la pioggia, il freddo sono solo il primo assaggio di una giornata venatoria di questa stagione ed in questi luoghi, ma la Passione fa muover le montagne, ed il cacciatore questo lo sa bene.
Non conosco la sua età, ma a tirar quella fucilata potrebbe essere stato un vecchio con tante rughe per altrettante imprecazioni tirate al vento, o un robusto uomo di mezza età sudato sino all'anima più profonda con occhiali appannanti e respiro affannato, o un giovane ricco di ardimento ed ambizione in cerca di numeri crescenti.
A tirar quella fucilata potevo esser stato anche io, anni addietro, quando i capelli erano mori come la pece, i chili alla vita abbondavano, e c'era il tempo per dare spazio a quel "vizio".
Io lo chiamavo vizio, al pari del fumar le sigarette o del giocare di carte per soldi: un vizio costoso, che chiudeva certe parti del comprendonio e portava a giustificare le tante fatiche per carnieri esigui e giunture doloranti alla sera.
Un vizio strano, che nella mia terra natale era quasi un Dovere.
Ero giovane, pensante, cosciente e consapevole, e sapevo che per me la caccia era molto di più: mi teneva legato a quel nonno tanto amato, mi dava un'occasione per starmene all'aria aperta, per fare movimento, ma sopra a tutto per mettermi alla prova.
Oggi, a distanza di venti anni quasi, sento che di tutte le Giustificazioni al cacciare, l'ultima che ho menzionato era la più giusta: METTERSI ALLA PROVA.
Non era nei chilometri macinati, piuttosto che nelle tantissime giornate senza una preda da riportare a casa, nè tanto meno nello sfidare le angherie della Natura fatte di acquazzoni, freddo, ramate nel viso, cadute rovinose..ma la vera prova da testare ogni volta era nella scelta del premere o meno quel grilletto.
Ai tempi amavo far richiami per gli uccelli, e me li costruivo per come potevo, ma sopra a tutto li facevo con la mia voce, stringendo le labbra, accostandomi al palmo di una mano, fischiando in tanti modi diversi.
Poteva capitare, e a dirla tutta capitava quasi sempre, che alle spalle ci fosse una levataccia, con la sveglia che suonava alle 4 del mattino, col caffè a bollore bevuto per metà a garganella prima di inforcare l'uscio di casa e per metà portato in un termos vecchio quanto me.
Poi c'era il guidare, a buio, arrivando sul luogo scelto per parcheggiare (sempre rigorosamente lontano da tutto), e poi c'era quel sostare nell'auto, al buio ancora, quasi sempre al freddo, consumandomi gli occhi nell'attesa di un "quasi bagliore", anticamera di un'alba che arrivava sempre molto dopo.
E prendevo la via, col fucile nel fodero, le cose essenziali in quel tascapane di iuta, annusando quella coda di notte, mentre scivolavo silenzioso in un qualche stradello.
Che fosse macchia bassa, o castagneto, che fossero ginepri o erica, ginestre o campi incolti, sotto sughere o lecci, aceri o alborelli, gli scarponi filavano silenziosi, senza torcia ne bastone, con quella fretta garosa del voler essere al punto giusto per vedere l'alba.
E regolarmente il punto giusto arrivava, sempre cercando quell'affacciatoio, dove tutto attorno c'era Natura, in quella roboante orgia di canti e suoni che ogni alba portava con se.
Eccolo quel momento: il cuore faceva l'amore con il cervello, e tutto si tatuava nell'anima, indelebile.
Un uomo, piccino, insulso, che in piedi col suo fucile appena sfoderato, guardava la bellezza mentre lo prendeva a baci e schiaffi.
Nuvole erranti, o fisse stampate, riflessi che dal viola al giallo mi stordivano quasi, mentre la palla arancione si levava svelta dalle coperte della notte, dietro alle colline, vicino al mare, oltre la montagna.
Come si fa a non innamorarsi di questo?
A me succedeva ogni volta, murandomi in un sodalizio che non avrebbe potuto darmi nulla di meglio.
Ma poi, era la fauna a ricordarmi che ero lì per quell'esercizio venatorio, per quel vizio/dovere/bisogno, ed allora il cuore riprendeva a dar le scosse, ed iniziava la ricerca.
Che si trattasse di colombacci o tordi, merli o cesene, la caccia mi reclamava in quel vortice di "impegni" legati all'imbracciare un fucile.
L'attenzione nel camminare, quella cerca quasi primordiale, atavica, che mi portava ad essere predatore, un animale a due zampe che aveva l'enorme vantaggio di avere un'arma da fuoco, munizioni e risorse.
Non mi capitava quasi mai di inciampare su di una preda, e generalmente gli incontri avvenivano solo in seguito ad interminabili ricerche, seguite, attese e richiami. E poco importava se di fronte a me non si sarebbe presentata una preda aggressiva o pesante, tutt'altro.
I richiami: un'illusione offerta ad ignare creature che curiose di quell'accento strano, si accostavano per poi venir tradite da quella loro stessa curiosità.
Me lo ricordo ancora la prima volta che un merlo mi rispose...
Era in un fitto scopeto, nascosto, facendo lavorar le labbra e gli orecchi, con il piombo fino e la carica leggera nelle due cartucce caricate in quella vecchia doppietta.
Io fantasticavo, inventando discorsi che temevo nessuno potesse capire, e lui, il merlo, piano si accostava titubante, e i rispondeva a chiare note.
Un vero e proprio dialogo, che si dissolse quando si rese conto che io non ero un suo simile, e che lo stavo puntando a cinque metri da lui.
Cinque metri.
Cinque metri per un tiro del genere sono un tiro sbagliato che sciuperebbe l'animale, ma anche un tiro sicuro che aggiungerebbe la tacca sulla canna del fucile.
Ci guardammo, e mi salì un senso di colpa per quell'inganno che così bene gli avevo confezionato.
Era così bello, scuro, e inclinava la testa quasi a chiedermi dove avessi messo quel merlo con cui aveva parlato sino ad un attimo prima.
Non si muoveva da quel ramo, ed io continuavo a mirarlo, col cuore in gola, l'adrenalina per la prima preda (indipendentemente dal tipo di preda e dalla stazza), e sentivo quel rigarmi il viso che la goccia di sudore salato mi stava facendo.
"CLICK", lo feci con la voce, abbassando la canna del fucile e lasciando volar via il merlo.
Io non lo sapevo, ma da quel momento iniziò il mio "mettermi alla prova".
Ho cacciato per svariati anni, ed ho partecipato a vari tipi di caccia: che fosse la lepre o la beccaccia, il capanno sugli alberi o la cacciata al cinghiale, con compagni di varie età ed esperienza, con cani di altri ed il mio amato cane.
Ed ogni volta che mi son trovato a dover decidere se sparare o meno io ho sentito l'importanza di quella Prova.
Non ho mai ucciso per il mero piacere di una tacca sul fucile, e mai ho sprecato anche solo un grammo della carne di una mia preda: rendere onore alla preda cacciata era il minimo, considerando che di rispetto gliene avevo assai portato poco presentandomi a quell'incontro con un'arma tra le braccia.
Ho sempre...SEMPRE sentito il peso di quell'incontro non equilibrato, ed ho scelto di non premere il grilletto, decine, centinaia di volte, lasciandomi il piacere della fatica e del "lavoro" fatto sino a quel momento.
Il compagno di turno mi chiedeva sempre come mai non avessi sparato, ed ecco che dovevo arrampicarmi su motivazioni strambe ed improvvisate, autoinfliggendomi la colpa di fronte ai suoi occhi.
"Quella vecchia doppietta, maledetta lei" oppure "ma sai che non avevo caricato la cartuccia?", rendendomi agli occhi di una comunità con un cacciatore scarso, forse pessimo, e lasciando che quel cartello sulla schiena mi ce lo fossi scritto da solo.
E quando me ne tornavo a casa mi godevo quasi lo sfottò del vicino che mi attendeva sul terrazzo, o il sorriso sconsolato di un familiare.
Mi tenevo questo segreto cucito dentro, e sentivo che anche questo faceva parte di quella Prova che dovevo affrontare.
Ero un cacciatore per scelta, nel ricordo del mio nonno, in un contesto sociale dove "esser cacciatore" veniva richiesto, dove il selvatico abbondava e dove i danni ai campi ed alle colture erano un alibi assai blindato, ma ... Ma avevo deciso di scegliere io come esser cacciatore.
C'era pace in me per questo, mai un attrito dentro, mai un ripensamento, ma quel giorno con mia nonna accadde qualcosa di strano.
Stavamo pelando dei tordi, l'uno seduto accanto all'altra, e dal nulla lei mi fece: "era tanto che non portavi qualcosa da spennare. La doppietta di nonno non funziona più tanto bene, giusto? Perchè non la cambi e te ne prendi una che faccia bene il suo dovere?"
Ma lei lo sapeva che senza quella doppietta imprecisa io non sarei andato a caccia: per me era come stare con lui, ogni volta, seppur mai l'avessi visto cacciare.
I ricordi di un me bimbo mentre nonno tirava giù da sopra l'armadio di camera quel fucile, e lo lucidava raccontandomi di quelle lunghe passeggiate, attese, sudate e panorami.
"Sai che tuo nonno era un cacciatore strano? Non portava quasi mai nulla a casa, ma ogni volta che ritornava era sereno in volto, soddisfatto, e mi parlava di albe e di animali visti da così vicino..."
Lei non mi aveva mai detto quelle parole, e come una strega buona aveva eviscerato e ricucito me in pochi istanti facendo riemergere la voce di suo marito mentre pitturava qualcosa di epico nell'immaginazione di un fanciullo, sempre senza parlarmi in modo crudo, quasi favoleggiandomi una mezza giornata di caccia.
Guardai mia nonna, e quel giorno ricordo mentii a me stesso, illudendomi di essere un cacciatore "vero e diverso", e le assicurai che avrei comprato un fucile nuovo, dicendolo in modo spavaldo.
E così feci, comprai un fucile nuovo.
E poi...smisi di andare a caccia, per sempre.
...
Seduto in mezzo alla Natura, mentre i ricordi mi ruzzolano nella testa, mi alzo e mi guardo attorno.
I caprioli hanno mangiato le castagne la scorsa notte, e di qui è passato il tasso...o l'istrice...no, il tasso.
Assaggio con la lingua l'umidità che mi si deposita nelle labbra, annuso a fondo sentendo che il fresco par bucarmi la testa, e riprendo il mio lavorare.
Non ho mai raccontato tutto questo a nessuno, perlomeno non così, e quella fucilata di poco fa mi ha dato la voglia di "confessarmi" in questa stranezza che tanto mi rappresenta.
Mi piace mangiare la selvaggina, ma non vedo la necessità di una caccia che tenda a sperdere una specie, laddove è ovvio che il selvatico non è più in pari numero a venti anni fa.
Piuttosto oggi io intendo la caccia (da non cacciatore quale sono) come una necessaria attività di regimazione di quel selvatico così nocivo per l'Agricoltura.
Credo, ed esprimo solo un mio parere, che il calendario venatorio dovrebbe essere modificato pensando a quello che ho appena detto, dando la possibilità agli Agricoltori di poter svolgere in modo regolare e controllato un esercizio atto a mantenere un equilibrio, e puntando al contenimento di quelle specie considerate dannose in determinati contesti.
Mai appoggerò la caccia di frodo, e mai giustificherò un illecito, ma l'esasperazione porta purtroppo sempre più ad azioni stupide ed eclatanti, frutto di un non ascolto da parte delle amministrazioni, e ad un senso di solitudine da parte di chi, oltre che esser Agricoltore, è anche contribuente nella società.
Lungi da me il pensiero populista, e chi mi legge sa quanto distante io ne sia, ma davvero penso che la Caccia, così come è, oggi sia solo un incrocio tra un vecchio trombone ed una ipocrita illusione.
Ho ucciso poche prede, ho raccolto metri cubi di bossoli altrui, ho fatto lunghe passeggiate, e mi son sentito bene a fare tutto questo.
Ho speso denaro, non poco, per un mettermi alla prova, tra me ed una Vita, quale che essa fosse, e consapevolmente ho fatto ogni mia scelta, sempre, lontano dalle gare, dalle mode, dall'arrivismo e da dimostrazioni becere da bar.
Mi è stato dato dell'assassino da alcuni animalisti, mi è stato dato del doppiogiochista da alcuni cacciatori, ma sapete quale è il mio ultimo pensiero su tutto questo?
Son venuto qui a raccontarmi, sentendomi libero di poterlo fare, senza retorica.
Non ho mai cacciato per fame, ma non ho mai cacciato di più di quello che realmente avrei potuto e voluto mangiare, non mi sono mai sentito "cattivo" perchè cacciavo gli "uccellini bellini", ed ogni scelta l'ho fatta a modo mio, fregandomene se qualcuno mi giudicava Anacronistico (o Matto).
Vi prego quindi, qualora decidiate di lasciare un commento (e vene sarei assai grato anche per permettere a questo blog di sentirsi ancora Vivo e Vegeto), di assumere posizioni educate e di non generalizzare nella solita ricerca del male e del bene, che mai come negli ultimi anni ci sta connotando sempre di più.
Ognuno ha il proprio pensiero e la propria personalità.
grazie